Questa è la prima di due newsletters sull’influenza delle grandi piattaforme digitali sul libero mercato e sulla democrazia. La prossima a novembre.
Indovina: qual è la commodity che ha le stesse caratteristiche del sole – inesauribile, utilizzabile simultaneamente e all’infinito da attori differenti e per scopi diversi, necessaria per qualunque cosa? Risposta: il dato, cioè la particella elementare dell’informazione.
I dati sono ormai al centro del commercio globale (basti pensare a quanti prodotti sono ormai principalmente consumati in formato digitale: notizie, film, musica, …), beni fisici come le automobili sono dotati di softwares che ne raccolgono un’infinità, e lo sviluppo dell’internet delle cose permetterà la raccolta di informazioni ancora più precise sulla vita di ognuno di noi. L’accelerazione della rivoluzione digitale negli ultimi 10 – 15 anni ha permesso anche la nascita e lo sviluppo di piattaforme per la vendita di prodotti e servizi impensabili, con le attuali caratteristiche, solo alla fine del secolo scorso. La loro crescita esponenziale ha avuto, fra le altre, la conseguenza di permettere la raccolta di una mole infinita di dati, necessari per l’erogazione di servizi sempre più sofisticati e mirati. Oltre ai social networks, due sono i tipi di piattaforme: gli aggregatori (es. Google), che esplorano internet per catalogare ed organizzare le informazioni, ed i cosiddetti marketplaces (es. Amazon, Booking.com) che hanno come obiettivo la messa in contatto efficiente di domanda e offerta di beni e servizi. Processi di machine learning e l’applicazione dell’intelligenza artificiale – che migliorano la loro precisione in maniera più che proporzionale alla quantità di dati elaborati – hanno grandemente aumentato il valore dei dati stessi. I motori di ricerca, i social networks, oltre alla capillare digitalizzazione di qualsiasi servizio, sono vere miniere inesauribili, tanto da creare un vero mercato con intermediari che si occupano di raccogliere ed organizzare questa massa infinita e metterla in vendita ad aziende e persone fisiche.
Grazie alle caratteristiche dell’ecosistema delle piattaforme digitali, che possono contare su importanti barriere all’entrata (costi fissi iniziali elevati) e sull’effetto moltiplicatore del networking, alcune sono evolute in mega-piattaforme che hanno potuto espandersi in settori adiacenti al loro iniziale (si pensi a Google quando ha creato Android). Questo fenomeno, unito alla difficoltà di identificare la dimensione del mercato, rende molto complessa l’applicazione delle regole antitrust (nate sulla base di logiche commerciali e segmentazione del mercato affatto differenti), sia per la determinazione dell’eventuale posizione dominante, che per la definizione di monopolio, non esistendo, fra l’altro, confini geografici per l’attività delle piattaforme. D’altra parte, affidarsi a queste norme non ha portato in passato a risultati concreti per limitare il potere dei giganti tecnologici, e sono ormai un’arma spuntata per affrontare le molteplici sfumature della concorrenza e della protezione dei consumatori nell’economia digitale. I contenziosi, intrapresi per la violazione di norme antitrust locali, sono molto incerti nei risultati, hanno tempi lunghissimi, e sembrano più una risposta tardiva a situazioni già consolidate. Senza contare che le eventuali sanzioni pecuniarie erogate – per quanto grandi in termini assoluti – non sembrano essere strumenti efficaci di dissuasione, considerate le disponibilità di questi colossi. Né la possibilità di imporre un break up (come accaduto in passato alla compagnia telefonica americana ATT) sembra realistica: Google, per esempio, ha effettuato investimenti significativi praticamente in tutti i settori dell’economia digitale. Anche cercare di impedire ex ante le acquisizioni di imprese concorrenti risulta quanto mai difficile. La concentrazione è stata una caratteristica del mondo aziendale dall’inizio del secolo, ed i nuovi protagonisti del mercato digitale hanno acquisito aziende esistenti solo da pochi anni, che quindi non avevano ancora raggiunto dimensioni tali da attirare l’attenzione dell’antitrust. E per parecchio tempo le stesse autorità non si sono preoccupate delle concentrazioni nel mondo digitale, presupponendo che la grande competizione per diventare i leader di domani avrebbe funzionato da regolatore. In fin dei conti Nokia sembrava insostituibile. Il risultato è stata la nascita dei colossi che tutti conosciamo, identificati con il termine gatekeepers (letteralmente: guardiani), cioè imprese attraverso le quali di fatto si passa per ottenere un prodotto/servizio (per es.: il 58% dei tedeschi prenota le proprie vacanze attraverso il sito Booking.com). La loro costante presenza su un mercato molto dinamico è dovuta alla combinazione di più fattori: l’inerzia dei consumatori, la maggiore efficienza degli algoritmi quando ci sono molti utenti, i forti effetti diretti ed indiretti di networking.
Il problema di evitare eccessive concentrazioni di potere economico è sempre stato alla base del libero mercato, ma i presupposti sui quali è stato costruito il sistema antitrust era legato a prodotti fisici ed è molto complesso cercare di applicarlo all’attuale realtà digitale*. Bloccare la crescita di Big Tech sarebbe comunque sbagliato, ma trovare un metodo per arginarne la pervasività e favorire la concorrenza è necessario anche per stimolare la ricerca e lo sviluppo tecnologico. La recente proposta dalla Commissione Europea (Digital Market Act), che affronta i problemi legati particolarmente alle elevate barriere all’entrata e alle pratiche anti – competitive dei gatekeepers, prevede una serie di regole che gli operatori devono applicare prima che comportamenti dannosi possano manifestarsi, e identificano in maniera specifica le caratteristiche delle aziende alle quali si applicano. La filosofia alla base del DMA è di essere meno specifica e più flessibile di una classica legge antitrust, cercando di proteggere la competizione nel mercato e non imponendo un risultato pre-stabilito, con un’impostazione affatto diversa da quella degli Stati Uniti che sanziona ex – post le pratiche scorrette.
Gli interessi economici e geopolitici in gioco sono enormi, ed il mercato digitale non conosce confini: la speranza, e la necessità, sarebbe di avere una regolamentazione unica e universale, che non ostacoli gli investimenti e la ricerca, ma che limiti l’invadenza dei grandi players.
Ma il dubbio è che ciò sia possibile.
* G. Parker, G. Petropoulos, M. Van Alstyne: ‘Digital Platforms and Antitrust’, Working Paper 06/2020, Bruegel
© Gianluca Sabbadini – The Adam Smith Society