Girando per la città, guardando le fotografie sui giornali e i servizi dei telegiornali una cosa mi ha colpito: perché, ovunque, in tanti non rispettano le indicazioni per limitare la crescita del contagio da covid-19?
All’inizio della pandemia lo choc ha condizionato il comportamento di tutti, e (quasi) tutti hanno sostanzialmente seguito le indicazioni delle autorità. Durante la seconda ondata, l’inefficienza di governanti di scarsa levatura ha causato una crescita enorme dei contagi (guardare il confronto con la situazione in Paesi con leadership più seria).
La spiegazione più banale di questa disobbedienza è legata allo stress derivante dalle limitazioni sopportate durante la prima fase della pandemia. A questo si è aggiunto uno stato di confusione causato da messaggi troppo frequenti, imprecisi e contradditori da parte delle autorità, degli scienziati e dei media. La perdita di fiducia nei decisori conseguente, unita all’impreparazione all’analisi critica e al pensiero logico di molti, può facilmente sfociare in atteggiamenti di protesta. Un’altra ipotesi è che forse si è instaurato nella gente quel fenomeno che nell’industria si chiama “normalizzazione del rischio”: le persone che eseguono lavori rischiosi (per es.: piloti di aerei), dopo un po’ si desensibilizzano al pericolo, la loro percezione del rischio diminuisce e il loro comportamento è più rilassato. Un’altra lettura ancora potrebbe forse essere quella psicologica, valida soprattutto per la categoria rumorosa dei negazionisti e complottisti. Quanto più sopra ricordato ha causato nei più fragili e peggio informati la caduta in uno stato di incertezza, rabbia e angoscia. In questa condizione è facile che si instaurino processi di rimozione o negazione del problema, che si manifestano con atteggiamenti incoerenti con la gravità del momento. Le categorie sopra menzionate hanno sostituito le cause reali del malessere psicologico, il rischio della malattia e l’ansia derivante dalle misure, con una sensazione, la perdita della libertà, che aiuta a trovare più facilmente un attore indefinito da colpevolizzare, i “poteri forti”.
Quali siano davvero le cause di un mancato rispetto delle misure di prevenzione dal contagio è difficile da stabilire; la costante, però, sembra essere nella maggior parte dei casi l’insofferenza verso norme considerate limitazioni dei nostri diritti civili o della nostra autonomia di scelta. Cioè della nostra libertà.
Nel mondo occidentale, fin dall’antichità, i filosofi politici hanno sempre ammesso che la libertà non veniva inficiata dalle regole del governo, purché decise con il consenso dei cittadini. Ma cosa si intende per libertà? L’argomento è forse uno dei più dibattuti nella storia. In termini generali si possono identificare due sfere, una relativa ad una dimensione generale (società, stato), ed un’altra legata all’ambito personale (libero arbitrio). Nella dimensione generale si può dire che esistano tendenzialmente due concetti di libertà, uno negativo ed uno positivo. Il primo prevede l’assenza di qualsiasi ostacolo, barriera o vincolo; il secondo implica l’esistenza di limitazioni che interferiscono nel modo di essere o di agire. L’idea di considerare due categorie diverse di libertà risale a Kant, ed è stata approfondita da Isaiah Berlin negli anni ’50 e ’60. Questi due concetti, molto superficialmente riassunti, condizionano in modo fluido, e con diversi gradi di intensità e sovrapposizione a seconda delle varie culture, il mondo e il modo in cui viviamo. All’interno di questo sistema, e da esso influenzato, c’è l’individuo e le innumerevoli scelte che compie durante la sua esistenza. Il principio del libero arbitrio è quello che lo riguarda direttamente: la scelta e la libertà di compiere un’azione, che presuppone anche la possibilità di non compiere la stessa azione. La reale esistenza del libero arbitrio è stata oggetto di innumerevoli discussioni fra i filosofi da Platone e Aristotele ai giorni nostri. Si sono valutate, fra le altre, le implicazioni della responsabilità morale, l’influenza di vincoli esterni ed interni e delle credenze religiose, e le più recenti ricerche sul funzionamento del cervello, ma non si è mai giunti ad una risposta condivisa. Un recente studio segnala che “…gli individui sono propensi a rinunciare a libertà civili in favore di [migliori] condizioni di salute pubblica”, e questa tendenza diminuisce con la percezione che il rischio sanitario si stia esaurendo.
È comprensibile che in una crisi che colpisce la salute, siano in molti – anche nelle roccaforti della democrazia liberale – ad essere pronti a rinunciare temporaneamente ai propri diritti civili, non considerandoli “valori sacri”. Ma in una fase, cominciata qualche anno fa, nella quale i principi sui quali sono state fondate le democrazie occidentali vengono sempre più stravolti o ignorati, il rischio che nuove crisi possano indurre larghe percentuali di persone (coloro che hanno seguito le indicazioni delle autorità nell’attuale crisi) ad abdicare ai loro diritti è elevato. E si sa che è più facile imporre una norma restrittiva in un caso di emergenza, che revocarla una volta finita la crisi. Basta vedere cosa accade in Ungheria.
Bisogna quindi essere molto attenti: in primis al fatto che, appena possibile, i diritti ai quali si è rinunciato vengano ripristinati, senza concedere dilazioni non assolutamente necessarie. Poi a che la comunicazione delle autorità sia chiara, semplice ed esauriente e che specifichi la durata dei provvedimenti restrittivi e di eventuali poteri straordinari assunti. Inoltre, a vigilare che si prendano tutte le misure possibili affinché non sia più inevitabile limitare i diritti quando si manifesterà una nuova emergenza (sanitaria o legata a manifestazioni naturali o al terrorismo). Ed infine bisogna ricordarsi che i precedenti creano giustificazioni per replicare provvedimenti anche in situazioni simili, ma magari non di pari gravità. Il fatto che in molti Paesi la classe politica non si sia dimostrata all’altezza e che il populismo stia diventando un fenomeno diffuso, con la conseguente caduta della priorità della salvaguardia dei diritti, ci deve rendere sempre più vigili.
“Freedom then is not … a liberty for every one to do what he lists, to live as he pleases, and not to betied by any law…”, J. Locke, Second Treatise of Government
Two Concepts of Liberty è il titolo della lezione inaugurale di I. Berlin in qualità di Professore di Teoria Politica e Sociale all’Università di Oxford il 31 ottobre 1958.
Civil Liberties in times of crisis, National Bureau of Economic Research, Cambridge, Ma., October 2020, Working Paper 27972
© Gianluca Sabbadini – The Adam Smith Society