Test, trace, treat. Questa strategia è consigliata dall’OMS e viene utilizzata da molto tempo per contenere le epidemie (malaria, morbillo, HIV, Ebola…). Se applicata appena si ha notizia di un focolaio epidemico permette di isolarlo e quindi di ridurne la portata.

L’allarme per il Covid 19 non è stato tempestivo ed ha permesso al virus di espandersi nel mondo. In certe zone (per esempio in Germania), nelle prime fasi, si è riuscito però a fare un tracciamento efficace ed a limitare il contagio. Il tracciamento è un percorso che richiede grande impegno da parte di personale appositamente addestrato. Inevitabile, quindi, che ovunque si sia pensato di affidarsi alle tecnologie disponibili per cercare di sostituire – o comunque aiutare – i tracciatori professionali. Lo strumento più ovvio è apparso da subito un’applicazione da scaricare sul proprio smartphone, sia per l’ampia diffusione dei telefoni cellulari, sia per la famigliarità degli utenti con le app 1.

Ma sono sorti numerosi aspetti che fanno dubitare dell’effettiva efficacia del tracciamento elettronico.

Secondo uno studio dell’Università di Oxford questo strumento è utile se almeno il 60% di una popolazione lo utilizza. In Islanda – il Paese che ad oggi ha avuto il numero maggiore di downloads volontari – la percentuale si è fermata al 38%, e sondaggi negli Stati Uniti indicano che solo meno di un terzo della popolazione sarebbe disposta a scaricare un’app di tracciamento, con significative differenze fra le varie etnie.

Il trasferimento dei codici fra smartphone avviene con il bluetooth, sistema che non garantisce necessariamente l’anonimato degli utenti. Ma, a seconda della vetustà del telefono, del suo posizionamento (in mano, in tasca, nella borsa…) e degli ostacoli la trasmissione dei dati può essere più o meno efficace. Così come il calcolo della distanza fra i due apparecchi che vengono in contatto. In luoghi particolarmente affollati (es. mezzi pubblici), poi, il pairment degli apparecchi potrebbe non essere possibile per la quantità di app attive contemporaneamente. E comunque nessuno garantisce di avere sempre con sé il telefono e con il bluetooth attivato.

Il tempo di incubazione della malattia è relativamente breve, mediamente 5 giorni. Di conseguenza, l’efficacia del tracciamento tramite app fra chi è risultato positivo e chi è stato nelle sue vicinanze è funzione della tempestività nell’esecuzione del test al primo apparire dei sintomi e della immediata condivisione del suo stato. Se no è inutile. Da considerare anche che l’universo dei possibili portatori sani – che quindi non faranno mai il test – sembra essere vasto, anche se le stime sono molto imprecise.

Ma forse l’aspetto più importante riguarda il rispetto della privacy: condividere dati sanitari è diverso da concedere l’accesso a informazioni quali l’ultimo ristorante dove si è stati o l’ultimo libro che si è comprato. Il sistema che verrà adottato in Italia, basato sull’ API (interfaccia di programmazione) elaborata congiuntamente da Google e Apple, rispecchia sostanzialmente quanto raccomandato dal Consiglio Europeo, a differenza di quanto accaduto nei Paesi dell’Estremo Oriente, in Norvegia e nel Regno Unito. Restano però alcune incertezze. Scaricando l’app si crea comunque un percorso digitale che potrebbe permettere l’identificazione dell’utente ed alcuni suoi dati. Ciò accade anche con il pairing fra due strumenti con il bluetooth, e lo stesso potrebbe succedere quando l’app si collega periodicamente al server per scaricare eventuali segnalazioni di prossimità ad un individuo infetto. Il fatto poi che il server in questione sia gestito da una società pubblica apre ad altre considerazioni. Il server che verrà utilizzato (gestito da Sogei) ha già dato segnali di problematicità quando sottoposto a utilizzo intenso. Inoltre, è già previsto lo sviluppo di un’altra app diversa, ma in qualche modo collegata ad Immuni, per aiutare l’utente allertato nei passi successivi (richiesta di test, diariosanitario, …), basata sullo stesso server, ma per la quale non risulta prevista l’anonimizzazione dei dati.

Chi è in grado di garantire il funzionamento corretto del server e l’inviolabilità dei dati da parte di eventuali hackers? Inoltre, il termine in cui è previsto il cancellamento dei dati dal server (chi e come vigilerà sull’effettiva cancellazione completa da tutto il sistema di ogni traccia informatica?) può essere soggetto a dilazioni in caso di necessità. Purtroppo l’esperienza insegna che provvedimenti temporanei spesso diventano definitivi.

Un’ultima considerazione. Il sistema T.T.T. è sicuramente efficace, ma prevede come condizione primaria l’effettuazione tempestiva (e con metodologia certa) dei test di positività ad un virus. Non mi pare che siamo in questa situazione, e cade quindi qualunque ragione per cominciare a permettere ad un ente pubblico di accedere ai nostri dati più sensibili.

Come ha scritto Guy Verhofstadt, presidente del gruppo ALDE nel parlamento europeo “… l’adozione di massa di un app di tracciamento è una china pericolosa […] Se non stiamo attenti, la principale vittima del Covid 19 potrebbe essere la democrazia”.

1 Per le caratteristiche di funzionamento, qui consideriamo quanto previsto dall’app italiana Immuni che dovrebbe essere rilasciata prossimamente

 

© Gianluca Sabbadini – The Adam Smith Society

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