Don’t Be Evil

Non credo possano esserci dubbi sul fatto che i sistemi democratici siano quelli che meglio garantiscono i diritti dei popoli. Sembra superfluo ricordare che, nel XXI secolo, la libertà di parola, di stampa e di informazione, di credo religioso, e la non discriminazione dell’etnia, del genere e delle preferenze sessuali dovrebbero essere alla base di ogni società e di ogni sistema politico. E in linea di massima questi diritti sono rispettati nei Paesi democratici. Ma stiamo assistendo da 15 anni ad un trend che va nel senso opposto, cioè diminuisce il numero di nazioni dove i diritti sono pienamente garantiti.

 

È ovvio che le ragioni sono molte, diverse da Stato a Stato; in periodi di gravi rischi per la salute poi, meccanismi psico – fisici* possono indurre ad accettare provvedimenti restrittivi dei diritti o regimi più autoritari. Ma c’è forse un denominatore comune che ha accelerato questo fenomeno: la pervasività della tecnologia nella vita quotidiana. I benefici immediati portati dallo sviluppo dei nuovi servizi digitali creano una nuova forma di dipendenza (quanti di noi si ricordano a memoria i numeri telefonici chiamati più frequentemente? e quanti si affidano ad una cartina stradale per raggiungere un luogo nuovo?), che rischia di distorcere la percezione della realtà e che viene sfruttata a fini politici soprattutto nel campo dell’informazione. Le tecnologie disponibili permettono di aggregare la messe infinita di dati in tutte le forme possibili, grazie ad algoritmi sempre più sofisticati, all’applicazione dell’intelligenza artificiale e ad una potenza di calcolo in crescita costante. Ciò permette, fra l’altro, il micro-targeting, cioè la possibilità di creare gruppi sufficientemente limitati di persone che hanno caratteristiche molto simili, e che perciò possono essere oggetto di messaggi (siano essi commerciali, politici, ideologici, …) che hanno un’elevata probabilità di essere recepiti con successo. La possibilità di condivisione istantanea di questi messaggi tramite le varie tipologie di social networks ne permette una diffusione a crescita esponenziale, consentendo la circolazione di notizie false, o la creazione di gruppi di pressione, in tempi rapidissimi e geograficamente diffusi. Questi aspetti del cyber – spazio sono abilmente sfruttati da chi ha interesse non solo a informare un’ampia platea su nuove iniziative del tipo più disparato o su problemi contingenti, ma anche chi desidera manipolare particolari settori del pubblico con scopi prettamente politici, sfruttando la dipendenza di molti da fonti esclusivamente digitali per la propria informazione.

Gli algoritmi e l’intelligenza artificiale necessitano di un numero enorme di dati. E sono le grandi piattaforme che ne raccolgono maggiormente e che li sfruttano direttamente, oppure li vendono. Nonostante frequenti proclami di assunzione di codici di comportamento da parte dei principali operatori, sui principi etici che guidano l’utilizzo diretto dei dati in loro possesso ci sono molti dubbi (v. l’audizione di F. Haugen al senato statunitense), così come su gli algoritmi che usano per mantenere connessi sul sito gli utenti, compresi i bambini. Certo non si può imputare direttamente ai gate – keepers la responsabilità diretta della diffusione dei messaggi dannosi alla tutela dei principi democratici, o della nascita o dello sviluppo di movimenti di opinione estremistici;  e bloccarli sarebbe una censura contraria al principio base di internet (uno spazio neutrale dove chiunque possa creare, condividere, dibattere, innovare, imparare, sognare, scrisse sir Tim Berners-Lee). Tuttavia, l’accondiscendenza dimostrata dai motori di ricerca e social networks principali nei confronti di regimi autoritari, l’inefficienza (incolpevole?) dei filtri applicati per limitare la diffusione di messaggi d’odio e di notizie false, la capacità di creare “bolle” nelle quali i messaggi possono essere amplificati o nascosti, la spregiudicatezza nell’utilizzo del micro – targeting per massimizzare il numero dei propri utenti e le proprie entrate crea un vulnus non indifferente alla tutela dei più deboli per età, istruzione o carattere, per non parlare dell’influenza sul dibattito politico.

Il potere di condizionamento di high – tech, soprattutto quando si prende in considerazione l’informazione, è enorme e non conosce confini geografici, e considerando anche il loro potere economico sorge il dubbio che possa rappresentare un pericolo concreto per le democrazie e le libertà: la competizione fra le grandi potenze avverrà probabilmente sugli smartphones, sui computers e sulle infrastrutture che li mantengono connessi. Il problema è ben presente alle autorità dei Paesi democratici, ma le soluzioni sembrano molto difficili. Per esempio, convincere le grandi piattaforme all’adozione ed al rispetto di codici etici per garantire l’imparzialità di quanto viene sottoposto all’attenzione dei propri utenti non sembra molto realistico o efficace. Né un più stringente regolamento sulla tutela dei dati personali, o sulla loro portabilità come previsto dalla normativa europea (il noto GDPR del 2018), risolve il problema dei metadati (dati sugli spostamenti, sulle ricerche sul web, …), la cui proprietà non è chiara e che comunque, per le loro caratteristiche specifiche alla piattaforma che li ha raccolti, non sono standardizzabili e quindi trasferibili. Né l’ipotesi di favorire la nascita di piattaforme con l’unico scopo di fungere da intermediari che operano – tramite algoritmi certificati e pubblici – come certificatori terzi della correttezza delle informazioni fornite da big tech sembra facilmente realizzabile.

Il numero dei Paesi dove la tutela dei diritti è una priorità continua a diminuire, e cercare di limitare il potere di qualsiasi strumento che, anche indirettamente, favorisca questo processo dovrebbe essere una priorità. Così come una maggior consapevolezza di questo problema da parte di tutti.

 

* L. Zmigrod, T. Ebert, F.M. Götz, P.J. Rentfrow: The Psychological and Socio-Political Consequences of Infectious Diseases: Authoritarianism, Governance, and Nonzoonotic (Human-to-Human) Infection Transmission, Journal of Social and Political Psycology, Vol. 9 No. 2 (2021)

 

© Gianluca Sabbadini – The Adam Smith Society

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