Sogno di una notte di fine estate

La consapevolezza crescente dei valori legati alla sostenibilità ecologica, sociale e di corporate governance ha creato un’impennata nella richiesta da parte degli investitori di prodotti che rispettino questi principi.
A livello globale, gli strumenti specializzati in questo tipo di investimenti hanno avuto una crescita impetuosa della raccolta, soprattutto negli ultimi anni, ma l’incertezza su una definizione condivisa di cosa si intenda per prodotti ESG non permette di avere dati univoci sui valori precisi: a seconda delle fonti si va da poche centinaia ad alcune migliaia di miliardi di dollari.
La scelta di investire in titoli di imprese rispettose dei principi etici (escludendo quindi i cosiddetti “sin stocks”) non è una novità: già negli anni ’80 del XX secolo molti fondi pensione avevano limiti in questo senso, ma valutare l’importanza di questi aspetti non era prassi comune nell’industria del risparmio gestito.
Il termine ESG è cominciato ad essere di uso comune anche grazie alla pubblicazione di un documento di raccomandazioni a cura dell’UN Global Compact, che specifica meglio i principi ai quali attenersi per effettuare investimenti responsabili (SRI, Sustainable and Responsible Investments), conosciuti fin dagli anni ’60 dello scorso secolo. Sotto il profilo della convenienza per un’azienda di aderire a questi principi una recente metanalisi, che ha esaminato oltre 1000 studi pubblicati negli ultimi cinque anni, ha evidenziato un crescente consenso fra i ricercatori dell’effetto positivo fra la corretta applicazione dei principi ESG ed alcuni indici della redditività d’impresa. Oltre che per seguire i propri principi, sembrerebbe quindi anche finanziariamente giustificato l’interesse degli investitori ad includere titoli di queste aziende nei loro portafogli, e per le società di gestione offrire fondi specializzati in questa nicchia.
Vista la grande crescita del mercato, non poche società di raccolta e analisi dati si sono occupate di predisporre classificazioni e indici da usare come riferimento per gli investitori. Per questo scopo, le agenzie di rating utilizzano quasi sempre dati forniti dalle imprese con comunicati pubblici; più raramente la risposta a questionari. Da notare che la quantità delle informazioni diffuse è variabile, dato che solo le aziende maggiori hanno le risorse necessarie, tecniche e umane, per elaborare i dati necessari ad una comunicazione abbastanza soddisfacente. Poiché le agenzie di rating operano in maniera quantitativa, i punteggi assegnati sono più legati al numero di dati che alla qualità delle informazioni comunicate, con la conseguenza paradossale, evidenziata in uno studio recente*, che le aziende appartenenti a settori fuori dalle raccomandazioni per il SRI (armi, alcool, tabacco…), hanno un rating medio ESG in linea con il resto del mercato, se non addirittura migliore. Inoltre, il “voto” sulla reale applicazione dei criteri ESG da parte delle imprese è calcolato dalle agenzie con metodologie proprie ed utilizzando un numero diverso di indicatori (per esempio MSCI usa 37 criteri, mentre FTSE Russel 300). Infine, le agenzie non specificano il peso specifico applicato ad ogni singolo fattore, aumentando la discrepanza fra i vari ratings per la stessa azienda, che a volte viene compresa ed altre esclusa dai diversi benchmarks.
Per quanto riguarda la convenienza sotto il profilo del ritorno economico dei fondi ESG, i risultati della ricerca accademica sono contrastanti, sia per il grande numero e la diversità nella composizione degli indici di riferimento, che per il fatto che alcuni studi sono basati su database poco profondi. Una delle analisi più recenti** (svolta sul mercato statunitense), che mette anche a confronto le performances dei fondi con la sigla ESG nel loro nome con quelli non caratterizzati dall’acronimo e gestiti dai medesimi asset managers, arriva a conclusioni poco confortanti. Lo studio evidenzia come i titoli in questi fondi spesso non siano di società migliori, sotto il profilo Environment e Social, rispetto a quelli dei fondi tradizionali; come siano anche di aziende che usano principalmente sussidi pubblici piuttosto che investimenti privati per migliorare le proprie procedure green; come applichino commissioni di gestione più elevate, ma abbiano una redditività inferiore a quella dei fondi non ESG della stessa casa nello stesso anno.
La scarsa trasparenza e le incongruenze nelle politiche di gestione di questo settore sono alla base di un Risk Alert emesso lo scorso aprile dalla SEC (Security Exchange Commission, l’equivalente americano della Consob). Né sembra che il regolamento recentemente introdotto dall’Unione Europea (Sustainable Finance Disclosure Regulation) abbia contribuito ad un maggior rigore da parte dei gestori. Per un investitore fare una selezione delle società che meglio applicano i principi ESG sarebbe molto oneroso in termini di tempo e risorse necessarie, posto che in linea di principio tutte le aziende sarebbero tenute a seguirli. Scegliere di rivolgersi a strumenti collettivi di investimento con discrezionalità (relativa) di gestione, e agli ETF (che replicano gli indici), è quindi la decisione più logica. Purché il prodotto presente sul mercato rispetti le motivazioni alla base della scelta. Sorge il dubbio che la forte richiesta di questi strumenti da parte degli investitori abbia portato varie case di gestione a creare strumenti che – per motivi di immagine, commerciali e di redditività – hanno incluso l’acronimo nel loro nome, senza offrire prodotti davvero in linea con le aspettative del pubblico.
Sarebbe un sogno essere certi di poter investire con profitto i propri risparmi in imprese che si impegnano davvero a migliorare il mondo in cui viviamo. Purtroppo sembra che molti passi avanti vadano fatti nella definizione precisa dei fattori ESG, nella loro analisi, e nella certificazione delle aziende. Nonché nella preparazione dei gestori a valutare meno acriticamente le risultanze dei raters e ad essere più severi nell’applicazione del concetto di “sostenibilità”.

 

* S. Drempetic, C. Klein, B. Zwergel: The Influence of Firm Size on the ESG Score: Corporate Sustainability Ratings Under Review, fig.1; Journal of Business Ethics (2020) 167:333–360
** A. Raghunandan, S. Rajgopal: Do ESG Funds Make Stakeholder-Friendly Investments? (May 3, 2021)
Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3826357

© Gianluca Sabbadini – The Adam Smith Society

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